Al Sinodo si è definito Israele trapianto non assimilabile in Medio Oriente e corpo estraneo che corrode. Fino a giungere a mettere in questione il concetto di «terra promessa», spostando ormai i termini sul piano non più politico ma addirittura teologico. E se, malgrado tutto, il popolo ebraico è lì, vitale più che mai, qualcosa non torna. Perchè e da chi si sia concesso agli ebrei il diritto al ritorno su quella terra, alla «terra promessa»? E questa cosa che in tanti tra i cristiani (in specie tra i più "dotti") non possono ammettere. Passata l'emozione della Shoah, ora basta. Per gli ebrei, o assimilazione o isolamento e condanna.
Questa è la pietra d'inciampo, alla fine di tutto, anche della storia contraddittoria del tanto sbandierato dialogo ebraico-cristiano.
Ecco allora il passaggio chiave che si utilizza per la delegittimazione d'Israele. La Terra Promessa è stata abolita dalla presenza di Cristo che ha stabilito il regno di Dio. Noi cristiani non possiamo più parlare di Terra Promessa al popolo ebraico (...) Si sono portati 4-5 milioni di ebrei e si sono cacciati 3-4 milioni di palestinesi dalle loro terre in cui avevano vissuto per 1400-1600 anni.
In prospettiva cristiana la questione non è da poco. In quanto fondata su coordinate storiche e geografiche ben precise, la fede cristiana trova nella sua radice principale, quella ebraica, testimonianza e ragione irrinunciabili.
Altrimenti il rischio non è la scomparsa dei cristiani dal MO, ma la riduzione del cristianesimo a mito.
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