giovedì 2 giugno 2011

Parole di conforto

In questi giorni stiamo cercando un senso alle cose accadute. E una consolazione, un conforto reciproco. Nulla è certo, pensavo e dicevo, ci regge una speranza. Una speranza che le cose accadute abbiano un senso.
Mi soccorre nel dirlo questa riflessione, ricordata da un libro di Erri De Luca, Alzaia.

"Tornate alla fortezza, prigionieri della speranza" è scritto in Zaccaria (9, 12) per annuncio di salvezza. La parola ebraica speranza è tikvà, che vuol dire anche corda. “Tornate alla fortezza, prigionieri della corda“ è la traduzione possibile del verso, che così richiamerebbe l’immagine di una liberazione di detenuti sciolti materialmente dai legami. L'ebraico muove sempre dalle cose concrete. Solo a forza di usare la parola corda essa diventa anche speranza. E' bello per me che la speranza abbia un’anima di corda. Essa trascina, lega, consente nodi, può spezzarsi...
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Quando nell’Eneide Virgilio scrive: spes sibi quisque, ognuno sia speranza a se stesso, esclude funi e soccorsi. E’ la raccomandazione adatta a un alpinista impegnato in una solitaria integrale. Nella parola tikvà c’'è invece il senso di essere qualcuno e qualcosa che non lascia soli. Non sempre la speranza mostra la sua fibra di canapa ritorto, resistente. Però è bello sapere che essa ha quella tenacia d’origine. (pag. 31)

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