A commento di questo post di Natale Zappalà, Gianni Golotta scrive.
Complimenti a Zappalà. Lo invito ad insistere ed intanto offro alla lettura questo documento inviatomi da Franco Capomolla: "Storia e descrizione di un lager sconosciuto".
"Ognuno vale non in quanto è, ma in quanto produce"
Questa è l’iscrizione che il visitatore può leggere ancora oggi su un muro della fortezza, entrando a Fenestrelle.
Fenestrelle è appunto una fortezza ubicata sulle montagne piemontesi dove, dal 1860 al 1870, furono deportati migliaia di meridionali che si opposero all'unità d’Italia e alla colonizzazione piemontese. Gli internati erano soprattutto poveri contadini ed ex soldati borbonici, i quali morirono di stenti e vessazioni perpetrati da chi si reputava un liberatore!
Al tempo si trattava di un insieme di forti, protetti da altissimi bastioni ed uniti da una scala, scavata nella roccia, di 4000 gradini. Era una gigantesca cortina fortificata resa ancor più spettrale dalla naturale asperità dei luoghi e dalla rigidità del clima.
I prigionieri erano assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi, miseri popolani e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senza luce sopravvivevano in condizioni disumane, perfino i vetri e gli infissi venivano smontati al fine di rieducare con il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei.
Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni non superava i tre mesi, anche perché spesso i carcerati venivano uccisi arbitrariamente, o solo per aver proferito ingiurie contro i Savoia. Dunque nessuna spiegazione logica era alla base della loro misera prigionia e molti non erano nemmeno registrati, di conseguenza non si può avere oggi un preciso riscontro del numero dei morti, processati e non, e quindi delle motivazioni logiche di quanto accaduto.
E proprio a Fenestrelle furono vilmente imprigionati la maggior parte di quei valorosi soldati che, subito dopo la resa di Gaeta, sarebbero dovuti essere liberati al termine delle ostilità. Dopo sei mesi di eroica resistenza dovettero, invece, subire un trattamento infame: vennero disarmati, derubati di tutto e vigliaccamente insultati dalle truppe piemontesi.
Infine, i detenuti tentarono di organizzare una rivolta il 22 agosto del 1861 per impadronirsi della fortezza, ma fu scoperta in tempo ed il tentativo ebbe come risultato l'inasprimento delle pene tra cui la costrizione di portare al piede palle da 16 chili, ceppi e catene.
La liberazione, dunque, poteva avvenire solo attraverso la morte ed i corpi (non erano ancora in uso i forni crematori) venivano disciolti nella calce viva, collocata in una grande vasca.
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